Un “racconto
d’oggi”: riflessione su una nuova narrazione
La “Globalizzazione dal basso”, un nuovo
filone letterario?
Di cosa ci potrebbe
parlare (e ci parla) la fiction al giorno d’oggi? Quale caratteristiche e finalità
potrebbe avere (ed ha)? Esistono caratteristiche comuni alle nuove forme di
narrazione? E se sì, quali sono?
La Professoressa Livia De Pietro, critica letteraria e personalità attiva in
campo culturale e sociale, ritiene di sì. E, di fronte alla necessità di
recensire talune opere (tra cui inserisce il mio racconto breve, “La badante”), parla di un nuovo
filone letterario definendolo “Globalizzazione
dal basso”. Un filone non ancora riconosciuto, ma vivo e attivo. Parto perciò
dal suo spunto, nel quale riconosco un mio personale e deliberato intento
narrativo, per formulare un’ipotesi complessiva che tenta di fornire una cornice
di ambiente e di intenti a questa nuova (ma già ricca) tendenza narrativa. Ai lettori verificare e integrare con le proprie esperienze di scrittori e fruitori di fiction.
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Marshall McLhuan |
Alla fine si parte sempre da lui: MarshallMcLuhan. Con una celebre intuizione, il sociologo di “Galassia Gutenberg” e
di “Villaggio globale”, afferma che l’emergere di una nuova tecnologia nello
stesso campo dove precedentemente operava un altro medium, trasforma quest’ultimo
in un’arte, in uno sport, in un hobby. Ossia, un nuovo medium non elimina il
precedente, ma lo ingloba come suo contenuto.
Succede con l’avvento
dell’automobile che trasforma il cavalcare da necessità di spostamento a un
nobile sport; con la motorizzazione della navigazione che fa della vela un
hobby, uno svago per turisti facoltosi; con l’affermarsi della fotografia che consente
all’arte figurativa, al quadro, di sganciarsi dalla necessità della figurazione,
quindi di esplorare nuove vie e di evolvere il linguaggio verso un’arte “pura”
– dove sarà la fotografia, d’ora in poi, ad assumersi l’onere di documentare la
realtà –; e così per il cinema, che farà del teatro il proprio contenuto, e per
la tv, che farà lo stesso col cinema ecc., ecc..
Ma l'intuizione di
McLuhan diventa perfino visionaria, e per questo ancor più affascinante, quando
egli, evolvendo il concetto, afferma che lo Sputnik, lanciato nel ’57, “ha
reso obsoleta la terra”. Ossia lo
Sputnik, con le sue circa 1.400 orbite attorno alla terra, ci rivela l’esistenza
di un nuovo supporto sul quale è possibile muoversi e comunicare. Non più, quindi,
la sola superficie terrestre, bensì esso rivela la nascita di un nuovo medium, più evoluto e più esteso della
terra stessa. Un nuovo medium che avvolge la terra, che la ingloba, che fa di
essa il proprio contenuto.
Ecco perciò che,
da quell’ottobre del ’57, tutti siamo costretti a guardare alla terra in modo
diverso, a guardarla nel suo insieme, in modo globale, a costruirci un’immagine
mentale che prima non esisteva (ancora fino a metà dell’900 la parola “terra”, per
i più, era la terra da coltivare, oggi, invece, è più probabile che evochi l’immagine
del Pianeta Azzurro immerso nel buio spaziale). La terra stessa, a questo
punto, si trasforma in oggetto di
interesse. Diviene oggetto di interesse globale per i politici, per le
economie, ma anche per tutti gli abitanti del pianeta: non è una coincidenza
che proprio nei primi anni ’60 nasce una nuova coscienza ambientalista, che si
interroga e preoccupa delle sorti dell’intero pianeta, che da vita alle prime
marce contro il nucleare e alle mobilitazioni per la pace. Può sfuggire,
allora, alla sensibile antenna dell’arte
e agli artisti, questo “nuovo” oggetto di interesse? E infatti non le sfugge. La
terra, il “vecchio” medium per la trasmissione dell’informazione, ormai reso “obsoleto”
perché avvolto come un cioccolatino Lindt dall’orbita dei satelliti di
telecomunicazioni e delle reti informatiche, diventa un oggetto d’arte, o
meglio, l’oggetto di una nuova arte.
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(Foto di Yann Arthus-Bertrand) |
È quella che un
allievo di McLuhan, Derrickde Kerckhove, tenta di sistematizzare con una formula che chiama Global Art, e di cui rintraccia espressioni
e contenuti: le espressioni, che fa risalire
fino a Marinetti, con i primi ingenui, ai nostri occhi, tentativi di Comunication Art e che si esprimeranno
più compiutamente a partire dagli anni ’60; i contenuti, che si rivolgono alla Terra come fonte d’ispirazione artistica
e che ricercano l’emozione, la sensibilità globale, e una poesia del mondo (tra i tanti esempi
citati da de Kerckhove, questo splendido film, "Home",
di Yann Arthus-Bertrand). Una
nuova sensibilità ambientale e ambientalista, consapevole dell’unicità del
mondo, del comune destino dell’uomo e
di tutte le specie viventi.
Ma, affianco a
questa possibile lettura dell’origine di un'arte globale e globalizzata, convive
un altro aspetto che, benché apparentemente orientato in senso opposto a quanto
finora detto, al contrario, rappresenta l'altra faccia della stessa medaglia. Si
tratta di qualcosa che riporta il fenomeno della globalizzazione, così come la
stratificazione culturale lo costruisce nell’immaginario collettivo, a una dimensione umana. Ossia, lo riporta alla
dimensione dell’agire quotidiano, individuale e locale. Mi riferisco al fatto
che qualsiasi fenomeno, di qualsiasi dimensione e portata, in ultimo e
inevitabilmente, trova e deve trovare la sua concretizzazione nell’agire situato. Deve avvenire in un luogo
fisico preciso, essere attuato da persone reali, da singoli individui in
specifici contesti spazio-temporali. Insomma, il così detto fenomeno Glocale: globale più locale.
E’
in questo ambito, dal mio punto di vista, si inserisce il filone letterario della
“Globalizzazione dal basso”. Un filone
narrativo che inspira atmosfera globale
ed espira fatti situati ed animati nelle
vicende locali e individuali, cioè, che li traduce in “vita”.
Il
perché tale filone debba interessarsi a ciò è quasi scontato, è il mondo in cui
viviamo e raccontandocelo cerchiamo di capirlo, un mondo che si muove secondo
queste due polarità:
·
da
un lato, i fenomeni globali, che si
manifestano sia negli aspetti più noti ed evidenti, come i flussi economici,
migratori, informativi, planetari, sia in quelli più positivi, anche meno
riconosciuti, come la capacità di emozione
globale (prendiamo, ad esempio, le reazioni in tutto il mondo agli ultimi
stupri avvenuti in India, o il ballo Onebillion rising, contro il femminicidio);
·
l’altra
polarità è costituita dall’aspetto locale, poiché ogni fenomeno deve
situarsi in luoghi fisici e incarnarsi
in persone reali (tornando alle
proteste contro gli stupri o al ballo planetario, è necessario che persone
vere, singolarmente e con le loro storie uniche, scendano in piazza per
protestare o per ballare, e che questo avvenga in strade precise e piazze vere,
cambiando la fisionomia di quei luoghi).
Perciò,
esattamente come avviene nella realtà, questo filone va correlando
consapevolmente le due scale, globale e locale, e in ciò utilizzando la sensibilità globale di un’arte che ha
per oggetto il Mondo, l’Individuo e l’Ambiente tutto (l’habitat, la “casa comune”).
Quali,
invece, possono essere gli obiettivi e il senso di tale frequentazione e
indagine? Io individuo (e personalmente perseguo), almeno tre finalità.
Una
prima riguarda l’indagine dei
cambiamenti. Nella dispiegazione narrativa, nella strutturazione dei
personaggi, nel loro prender corpo, infatti, è possibile individuare e
descrivere i cambiamenti che i fenomeni globali agiscono dentro le persone e nei
luoghi. Cambiamenti profondi che avvengono nelle nostre teste: basta dire “badante” per evocare tutto un
immaginario dettatoci dalla globalizzazione (una fisionomia, una lingua, una
ragione politico-storica per cui…); così come “filippino” non è quasi più una nazionalità, ma un mestiere. Cambiamenti
profondi, poi, nei luoghi: la Borgata Finocchio, citata nel mio racconto, è un luogo scelto, al
tempo stesso, dai flussi globali e dalle persone reali. Da cui, indagare su come
e in cosa si trasforma quello specifico
posto. Scoprendolo un crogiuolo di umanità, un luogo di diversità: “dove essere
diversi è l’unico modo per essere uguali”. E, perciò domandarsi se Finocchio è ancora
una periferia di Roma o il centro del
mondo (probabilmente l’uno e l’altro, con tanto di disagi di un posto “trafficato”
e “plurale”, ma anche di qualche buona
opportunità).
Una seconda
finalità è quella di restituire dimensione “umana” a fenomeni altresì percepiti come troppo grandi,
sovra-personali, spersonalizzanti e, quindi, annichilenti e deresponsabilizzanti.
Riportare al vissuto “reale” e “concreto” dei personaggi (paradosso della fiction) le azioni che poi concorrono a
generare i fenomeni globali, restituisce la responsabilità e l’onore dell’agire
all’individuo. Come la responsabilità individuale di produrre atteggiamenti
aperti e di accoglimento o di rifiuto e di razzismo. Oppure di sentirsi
partecipi e incisivi, protagonisti, nella misura di Uno, dei cambiamenti.
Terza finalità è quella di ricercare,
indagando dentro le vite, le storie, i sentimenti, dei fatti narrati, possibili
chiavi di lettura alternative agli slogan e alle soluzioni troppo
semplicistiche (le potenti armi della deresponsabilizzazione) che pretendono di
spiegare fenomeni troppo complessi. Inverare il disagio, ovunque e in chiunque
si produca, incarnarlo nelle persone, nelle emozioni e nelle motivazioni che
muovono i fatti nelle narrazioni, dotarli di senso, sono tutti strumenti utili
alla riflessione e alla conoscenza. Attraverso di essi è possibile fare percorsi
di avvicinamento e produrre l’incontro fra diversi valori, visioni, culture.
Non si tratta,
come in questi casi qualcuno usa obiettare, di ingenuo positivismo o di ignorare e nascondere i conflitti, i problemi, i
rischi, potenziali e reali che scaturiscono dai fenomeni globali. Non è questo genere
narrativo né rassicurante, né buonista, né tantomeno rinunciatario del conflitto
e della denuncia. Tutt’altro, piuttosto vuole guardare dentro le cose (forse perfino con approccio Naturalista),
con consapevolezza, curiosità, sensibilità. È l’intento di chi si interroga per
comprendere e per crescere, affrontando i problemi (anche con sofferenza
artistica) senza chiudere gli occhi di fronte ad essi. L’obiettivo di vuol
provare a progettare e guidare i
cambiamenti e non restarne vittima.
Insomma, per
quel che mi riguarda il “racconto di oggi”
esiste, ha una sua fisionomia, una sua consapevole identità e dignità morale.
Ognuno di voi potrà ricercarla nelle sue letture, nel cinema, nella musica e
nelle fertilissime arti visive (e magari riportare qui le proprie esperienze). Ai critici, invece, l’onere e l’onore di trovargli
il nome che, come al solito, per quanto contestato, rifiutato, distinguizzato, sarà destinato ad
accompagnarlo nella storia.
Augusto
Monachesi