martedì 7 dicembre 2010

Demo-Idiozie Occidentali


Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.”
L’impiegato che racconta De Andrè se ne convinse a circa 40 anni, qualcuno però, anzi, direi in molti, paiono non volerlo proprio capire. Il Potere, qualsiasi Potere insediato, si comporta nella medesima maniera di qualsiasi essere vivente, almeno per come conosciamo la vita sulla Terra: tende, cioè, a consolidare e riprodurre se stesso. Così pure le apertissime “Democrazie” Occidentali, così pure qualsiasi altra struttura di “Governo”, compresa la Feder-Calcio o l’amministrazione del condominio. E’ una questione di DNA.
Nel caso delle Demo-Ideozie Occidentali, la differenza rispetto ad altre forme di Governo più autoritarie sta esclusivamente nella capacità di tollerare la libera espressione delle “idee che non cambiano nulla”, ma, appena s’affaccia all’orizzonte una possibile, concreta, minaccia, ecco lo scatto ed ecco che immediatamente si sgretola la fragile maschera di tolleranza che copre il vero volto del Potere.
Vale per le tante manifestazioni represse con la cieca violenza, vale per JULIAN ASSANGE, fondatore di WIKILEAKS. Un’interesse particolare, in questo ultimo caso, viene essenzialmente il terreno dello scontro, la Rete, Internet, con il Ragno che comincia a produrre i guasti annunciati. Le modalità con cui il Potere conduce la sua “GUERRA” (perché è questo il termine appropriato), invece, quelle no, quelle sono pratiche viste e riviste: la censura, l’attacco alla persona, la sottrazione delle risorse finanziarie.
Personalmente, per quanto non abbia seguito con particolare attenzione la vicenda delle pubblicazioni del materiale Top-Secret, ciò che mi è arrivato non mi ha affatto sconvolto e non ha aggiunto molto a quanto già potevo ragionevolmente immaginare o, come diceva Pasolini, a quello che “io so”.
Allora, come mai ad ASSANGE il Potere riserva l’onore di tanta attenzione. A mio modesto avviso ciò che più infastidisce Potere e Potenti, rispetto alle “rivelazioni” di WIKILEAKS, è il fatto che queste mettono nero su bianco la pantomima diplomatica che ogni paese attua e che tutti conoscono. D’altronde, forse che la Russia non sappia che gli USA tentano di convincere la Polonia ad aderire allo “scudo antimissile” con la garanzia che questo la possa difendere proprio dai temuti russi, appunto? Oppure è così assurdo immaginare che gli americani ritengano Berlusconi uno zozzone megalomane?
No, in questo caso il Potere più che spaventato è infastidito: ah, quanto lavoro, quante dichiarazioni occorrerà fare per ristabilire il normale e sereno clima di falsità…   
In tutto questo non c’è nulla di strano, o di anomalo, è sufficiente non percorrere tutta la strada che porta a diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni. E, per piacere, non ce la prendiamo con le povere Demo-Idiozie.

mercoledì 1 dicembre 2010

Pubblicare un libro (testimonianza di una piccola esperienza per chi ha uno sogno ancora chiuso nel cassetto)


In questo post intendo descrivere il percorso che mi ha portato dall’aver scritto il romanzo “I treni di Fernando” fino alla sua pubblicazione (il resto, promozione e vendita, li sto vivendo in questi giorni e magari finirà in un post ad hoc). L’obiettivo è quello di provare ad essere d'aiuto e di stimolo a quanti (e ne ho conosciuti tanti) hanno uno scritto nel cassetto e non si sono ancora decisi a tentarne la pubblicazione.

  Premessa

Quando ho cominciato a lavorare ai “Treni…” non avevo idea, e nemmeno la speranza, che alla fine avrei scritto un libro, e, soprattutto, che sarei riuscito a pubblicarlo. Ovvio, quindi, che poco o nulla sapessi (e ancora oggi poco so) del mondo dell’editoria. Come molti, per sentito dire o per averlo letto qua e là, sapevo che, data la crisi del settore, molti esordienti sono costretti a pubblicare a pagamento, e che quelli che no sono solo pochi fortunati; che si può pubblicare on-line, ecc., ecc.. In ogni caso, ritenevo che riuscire a ottenere la pubblicare fosse difficile, una possibilità remota e assolutamente al di fuori della mia portata.

Cos’è stato, allora, a permettermi di arrivare ad una meta (?) che all’inizio appariva così lontana e irraggiungibile?

Be’, di certo la determinazione con cui mi sono lanciato nell’impresa? La determinazione è, permettetemi il gioco di parole, assolutamente determinante! E, purtroppo, carente, o addirittura assente, in moltissimi scrittori. Le cause di ciò, sono molte, la principale è sicuramente dovuta al fatto che i nostri scritti parlano di noi, ci “scoprono”, ci mettono a “nudo” di fronte agli altri, che, giustamente, leggendo, acquisiscono il diritto di giudicare noi e i nostri scritti.

Come fare, quindi, per trovare il coraggio, la determinazione, la forza, indispensabili strumenti, per tentare di veder pubblicati i propri lavori? E senza i quali, forse, non ha senso neanche tentare.
Nel mio caso (vale per questo, e per tutte le affermazioni che seguiranno) gli “strumenti” me li hanno forniti i lettori delle primissime voluminose e svolazzanti bozze. Il loro entusiasmo è stata la mia forza, capace di farmi superare la timidezza e l’imbarazzo naturali che si provano nei confronti del proprio lavoro. Timidezza e imbarazzo, patrimonio ambivalente di ogni scrittore principiante, sono spesso il nemico numero uno delle proprie opere.


A questo proposito ricordo un episodio. Avevo praticamente già scritto la bozza dell’intera storia, diverse centinaia di pagine, e ancora a chi mi chiedeva a cosa stavo lavorando rispondevo: “boh, un racconto, una storia”. Quando, però, il primo lettore mi disse: “bello il tuo romanzo.”, sentii un tonfo al cuore e arrossii, io, ho scritto un romanzo??? pensai, e da quel momento in avanti acquisii una consapevolezza, via via consolidata, che mi convinse a provarci “seriamente”. La stessa cosa ora la auguro a chi, con un “sogno” chiuso nel cassetto, vorrà conoscere questa mia piccola esperienza.

Avvertenze

In questo post (anche se per praticità potrò generalizzare) parlo esclusivamente della “mia” esperienza. Non c’è “verità”, volontà di insegnare nulla a nessuno, ma solo lo spirito di provare a essere utile a un amico/“collega”.
Perciò, a rischio di ripetere cose scontate e arcinote ai più, voglio partire davvero dall’inizio, dalle basi. Si tratta sicuramente di un percorso irto di difficoltà e impervio, quindi meglio partire col piede giusto e con la giusta attrezzatura.


Si parte! Sì, ma da dove?


Come detto, io ho cominciato col gettare via ogni remora, ogni timore di giudizi e pregiudizi, di vergogne e timidezze. Perché, siamo sinceri, scriviamo per essere letti. È un dato di fatto, smettiamo quell’atteggiamento adolescenziale e pseudo-romantico dello “scrivo per me stesso”. Ossia, è chiaro che lo si fa per se stessi, per una propria esigenza, per il proprio piacere. Ma è altrettanto chiaro che, consciamente o inconsciamente, aspettiamo soltanto che qualcuno posi gli occhi sulle nostre pagine e ci restituisca le emozioni che abbiamo cercato di infondervi (che, è sicuro, non saranno mai esattamente le stesse che erano nelle nostre intenzioni). Perfino i più ostinati “scrittori per se stessi”, quelli convinti fino all’ultimo a tenere occultato il proprio lavoro al pubblico, in fondo sperano che, una volta morti, qualcuno ritrovi il loro manoscritto e lo beatifichi per sempre… mah.

Decalogo in 7 punti:

Punto 1°

Ci credi davvero nel tuo lavoro? Riprendilo ora, apri una pagina a caso, leggi: ti convince? Ti piace? Deve piacerti, non piacicchiarti. Deve emozionarti, commuoverti, là dove “deve”. Ma attenzione! A questo punto non ti deve convincere che sia un capolavoro, non è ancora tempo. Deve solo produrre quegli effetti che la pagina (anche la singola pagina) si propone. Se è così, se ti funziona, devi andare avanti.

Punto 2°

 
Se quello che hai letto ha passato il tuo esame (essere onesti con se stessi non vuol dire castrarsi, in caso di dubbio sempre meglio passare alla fase 2° piuttosto che mollare) procurati almeno dai 6 ai 10 lettori e mettigli in mano le tue bozze. Costringili a leggere, fai la faccia tosta, te ne servirà comunque tanta per andare avanti. Armati di Santa Pazienza, sarai costretto a rispettare i loro tempi (ti assicuro che è abbastanza deprimente constatare che mentre tu sei in ansia anche l'amico del cuore tarda a leggere, è distratto, o se ne sbatte proprio), ma se la cosa funziona te ne accorgerai propri dal loro atteggiamento, da come procedono nella lettura e da quello che ti riporteranno. Questo è lo snodo principale, se la cosa vale lo capisci, te lo fanno capire,  e saranno loro a spingerti e a darti la forza necessaria per proseguire oltre.

Punto 3°

 
  Ora se i tuoi amici l’hanno “accesa”, se, cioè, ti hanno convinto che è proprio il caso di provarci, devi preparare il lavoro a superare l’esame della “lettura editoriale” di tipo professionale. Fermati e osserva il tuo manoscritto: come si presenta? La prima pagina, com’è? Titolo, sottotitolo (opzionale sì, ma preferito), nome, cognome recapiti telefonici e Email.

Cosa intendo? Che il lavoro si deve presentare bene, deve avere un aspetto professionale. Sicuramente sarai già esperto in questo, ma è importante e lo voglio sottolineare: che non sia mai che un buon lavoro venga gettato via (perché è questo che succede) perché si “presenta male”. Tutti i dettagli su come presentare/formattare il testo li trovi sul sito “il rifugio dell’esordiente” (bellissimo, da studiare, da consumare). Le cose principali sono comunque legate al buon senso, ad esempio: la pagina non deve essere troppo pesante; osservate i margini, il carattere, in generale lo standard del formato “cartella”; giustificate il testo; ripulite il più possibile dagli errori; numerate le pagine; rilegate sempre il volume, ecc..

Ma, dato che ho suggerito di fare riferimento al sito del “Rifugio”, ricorrete pure allo strumento della “lettura incrociata” che questi mette a disposizione: manda a loro il tuo testo perché sia letto e perché ti diano un riscontro (l’anonimato potrebbe aiutare ad aprirsi – anche se non protegge affatto dal dolore per eventuali giudizi negativi). Io l’ho usato, sono molto lenti (poverini), ma rispondono e sono seri e professionali (a me mi hanno coccolato).

Piccolo passo indietro. Arrivato a questo punto dovresti aver già provveduto (a puro titolo di scrupolo, nulla di più, la maggior parte di noi non è Dante e perciò possiamo starcene tranquilli), o al deposito del testo presso la SIAE (costo circa 100€), o alla spedizione al proprio domicilio di una raccomandata con RR contenente l’opera in busta chiusa che dovrà rimanere assolutamente sigillata. Ripeto non c’è da preoccuparsi d’altro, a meno che tu non ritenga di aver scritto la Divina Commedia, nel qual caso meglio correre alla Mondadori e lasciar stare questa lettura, la mia esperienza non ti può essere d’aiuto.

Punto 4°


 A questo punto è arrivato il momento di spedire, ma cosa? E a chi? Ancora una volta ti rimando al sito del “Rifugio”. Lì trovi un elenco di editori selezionati e targgettati in funzione di una serie di caratteristiche: genere/i pubblicati, con contributo o meno, interessati agli esordienti o no. Ti consiglio di farti un elenco di quelli che ritieni di tuo interesse. Poi, visita i loro siti per capire che tipo di editore è (ti garantisco che dopo poco si capisce). Selezionane non meno di una 50ina (non esagero, come dice il Rifugio, se non invii almeno a una 50ina di editori non puoi dire di “averci provato”).

Troverai sui loro siti a cosa ciascuno è interessato: c’è chi richiede il testo integrale esclusivamente in formato cartaceo, chi sia in formato elettronico che cartaceo, chi vuole solo una sinossi, chi sinossi + abstract o qualche capitolo. ATTENZIONE! Sempre sul sito troverai tutte le informazioni su come fare una sinossi, un abstract, una mail di presentazione di accompagnamento all’opera. Non trascurare questo aspetto, è importante quanto (e forse più) del tuo intero lavoro, è la sua confezione: compreresti una pacco di fette biscottate completamente appallottolato? E non è nemmeno facilissimo fare una buona confezione perché devi decidere cosa mettere in evidenza del tuo lavoro, devi selezionare (doloroso), devi non essere troppo timido nel pubblicizzarti, ma, ovviamente, neanche autocelebrarti.


Poi anche la mail/lettera che accompagna il lavoro dovrà essere ben preparata: dovrai far capire che sei tu il primo a crederci (altrimenti come può crederci un estraneo a cui, tutto sommato, stai rompendo pure le scatole?); dovrai far capire che sai a chi ti rivolgi (se l’editore pubblica solo collane per ragazzi che senso ha inviargli un thriller?).
Seleziona pure un po’ di concorsi letterari, ce ne sono tanti, di varia natura, tipicamente i più propongono la pubblicazione del romanzo vincitore, ma pure le menzioni non sono da buttare (io ne ho presa una e ne vado fiero).

 
Punto 5°

 
Ok, a questo punto abbiamo inviato una montagna di Email, spedito qualche pacchetto (selezionando attentamente i destinatari … per via delle spese), avendo tenuto traccia su un foglio .xls (editore; indirizzo, inviato il; risposto il; esito?; ecc., ecc.) di tutti i contatti.

Oooohhh…, il più è fatto e adesso non ti resta che aspettare.

Ansia, frenesia, fantasie, la testa vaga a immaginare scenari più o meno plausibili: il premio Strega, l’invito insistito di Fabio Fazio per andare in trasmissione, i flash che ci vogliono immortalare ad ogni costo. E’ tutto lecito, intanto il tempo passa. L’attesa mediamente va dalle 3 settimane a un anno pieno. I primi a rispondere saranno senz’altro gli editori che pubblicano a pagamento.
Due parole su questi. Ce ne sono di vari tipi, dai più …esosi (che richiedono fino a 4mila€), ai più morigerati (che possono proporre l’acquisto di un certo numero di copie la cui spesa non dovrebbe mai andare oltre le 500/700€). Rispetto a queste proposte (accettare, non accettare, quale accettare) dovrai decidere tu, senza avere fretta (come ti dicevo questi sono sempre i primi a rispondere, prendi tempo, magari più avanti potresti ricevere proposte migliori).

Non è del tutto disdicevole contribuire alla pubblicazione, ma l’entità del contributo deve essere assolutamente congrua. L’editore deve assumersi un certo “rischio d’impresa” e non scaricare tutti i costi sull’autore o addirittura lucrare su di lui. Per esperienza ti dico che, se il lavoro è valido, se i tuoi lettori di bozze nel frattempo si sono moltiplicati, vendere 100/150 copie per proprio conto non è affatto difficile.

Gli editori che pubblicano senza contributo, invece, normalmente impiegano più tempo a rispondere, ma, in genere, anche se il riscontro è negativo rispondono.


Punto 6°

 
Eccola! Finalmente nella buca delle lettere la risposta che attendevamo:

“Gentilissimo signor Mario Rossi,
siamo lieti di comunicarLe che abbiamo deciso di pubblicare il suo libro.
F.to Feltrinelli”.

Fai di corsa la valigia e preparati ad un lungo tour: Fazio, Mentana, ecc., ecc.. Non dovrai preoccuparti d’altro.

Se però invece della firma di Feltrinelli ci sarà quella dell’Ass. Abc, cosa ti devi aspettare?
Beh, che praticamente dovrai farti editor, editore, distributore e libraio, di te stesso: cioè, non aspettarti nulla (…o molto poco). Anzi impara pure a fare il marketing e preparati ad essere deriso da tutti, compresi quelli che ti stanno vicino e che già pensano che ti sia montato la testa.
Ok, non è il caso comunque di scoraggiarsi, il libro c’è, chi lo legge ti dice che è bello, che vale, ti chiede in che libreria si compra, tu, digrignando i denti, risponderai “in nessuna, li vendo io”, davanti alla faccia stupita di questi. Ma non fa nulla, qualcosa ti darà il coraggio di fare anche quello che non avresti mai pensato di fare. È il tuo libro, sono i tuoi personaggi e lo farai per loro (perché dopo un po’ i complimenti manco li senti più tuoi, ti parrà che li facciano a qualcun altro, ai tuoi personaggi, forse).

Tutta via, considerato quanto sopra, non è comunque da escludere a priori la pubblicazione on-line, o quella on-demand, o altre forme.


Punto 7°

 
Questa è, appunto, la strada che io ho percorso, ma ovviamente non è l’unica e non è detto che sia la migliore, anzi, probabilmente, mantenendo inalterati i passi, alcune scelte le rivedrei. Quello su cui mi sento di insistere è, invece, lo sprone a tentare. Comincia pure da dove vuoi tu, segui la strada che più ti si confà, consigliati e confrontati con le esperienze altrui, ma datti da fare, non lasciare ciò che c’è chiuso nel cassetto, anche se a leggere saranno in pochi. Lo scopo non è quello di mandare inutilmente altra carta al macero, né quello di diventare ricchi e famosi (impossibile), ma quello di dire agli altri chi siamo, manifestare i nostri valori, provare a far meglio la realtà con gli strumenti della creatività e della fantasia.

Perciò, in bocca al lupo!


Augusto Monachesi 
 

lunedì 29 novembre 2010

Maledetti ragazzi!!! ...ti stupiscono sempre.

Un’opportunità insperata, un’occasione unica che mi auguro vivamente di ripetere, l’incontro con i ragazzi dell’Innocenzo XII di Anzio (e, giù in fondo, spuntano pure le teste bionde di Marco e di Serena, i miei figli).
Una platea che non si accontenta di interpretare il ruolo di spettatore e, sia che si trovi di qua o di là dal Tavolo Centrale, è sempre protagonista. Mentre io e il mio “collega” Juri dall’altra parte ci stiamo solo fisicamente, perché col cuore e le emozioni siamo assolutamente con-fusi agli studenti.
Venerdì 27 novembre, per volontà e merito dell’attivissima professoressa Anna Pozzi, si è svolto un incontro tra alcuni studenti del liceo Scientifico Innocenzo XII, Juri Durazzi, autore del romanzo “Tra inverno e inverno”, e me, autore del romanzo “I treni di Fernando”.
Incontro, appunto, e non la presentazione dei due libri. Un incontro, un trovarsi assieme. I ragazzi, infatti, guidati della professoressa Pozzi, hanno preparato dei lavori che hanno riequilibrato lo scambio letterario ed emotivo, rimettendoci tutti sul medesimo (e unico possibile) piano di “autori per amore”, di persone dotate di creatività. Così, l’emozione mia e di Juri (mi prendo la licenza di interpretare anche a suo sentimento) provata nell’ascoltare le voci dei ragazzi, bravissimi, che hanno interpretato alcuni brani dei nostri lavori, non era diversa da quella che si poteva cogliere sui loro volti mentre leggevano i racconti che avevano scritto per l’occasione. Così, l’attenzione che questi hanno prestata alle nostre pagine è stata la stessa col quale ci siamo lasciati trasportare dalle loro storie: alcoliche, polifoniche e originali, leggere e pesanti come le nuvole, o dense come racconti del Tao. Così, scavalcando fisicamente la barriera del tavolo centrale, abbiamo potuto farci pubblico e accompagnare, sottovoce, le parole di Fabrizio De Andrè spiegate sul tappeto degli accordi delle loro chitarre acustiche.
Un’esperienza esaltante, alla quale ci arrivo nascondendomi la paura di non riuscire a spicciare parola (terrorizzato, tra l’altro, da mia figlia – liceale anche lei al 4° anno -, che fin dall’inizio mi fa: “guarda pa’ che quelli te se magnano.”). Un’esperienza dalla quale esco, invece, convinto di non aver sciupato un’occasione. Essendo riuscito quantomeno a dire quello che, da sempre, averi voluto poter comunicare, se mai ne avessi avuto l’opportunità, a dei ragazzi (la stessa cosa che cerco di ripetere ai miei figli, in fondo): date al mondo, e a voi stessi, il meglio di quello che avete dentro. Non è importante il mezzo: la scrittura, la musica, la fotografia, o qualsiasi altro linguaggio. Importante è non disperdere le energie preziose che possedete. E, ancora, fate vedere, leggere, ascoltare, le vostre produzioni. Certamente le nostre opere parlano di noi, specialmente se sono ben fatte, e proprio per questo bisogna superate la paura, più volte riecheggiata in sala, di mostrarle e di mostrarsi, la famosa paura di “scoprirsi”, di mettersi a nudo.
Due immagini che, a mio avviso, portano dentro i germi della volontà di incamminarsi sulla strada di uscire dal guscio, mi si sono scolpite indelebili nella memoria: quella delle mani nervose di una coppia di fidanzati che si cercano e si intrecciano nel tentativo di placare l’ansia di dover leggerSi in pubblico; e quella di una ragazza che, davanti alla proff, supplichevole domanda: “…sì, lo so, lo so, ma come si fa?”. Come si fa ad aprirsi senza correre “rischi?”, intende. Questa non è certo la meta, ma il promettente inizio di un cammino, comunque lungo e faticoso.
Aprendosi si diventa più forti. Questo è quello che MI insegnano proprio i ragazzi dell’Innocenzo XII con le loro domande, i loro sguardi attenti, e qualche richiesta di amicizia che ritrovo tra le notifiche su FB. Sono loro stessi a darmi la forza di sostenere l’incontro, di trovare le parole che cerco e che sento, e di non svenire (come mi sarebbe dovuto accadere per la mia natura ansiosa e l’indole timida).
Un’ultima, scontata, considerazione: il potenziale di energia che custodiscono dentro di loro questi ragazzi è una bomba ad altissima capacità. Compito di noi adulti è mostrare, con l’esempio, i mezzi, le possibilità, i linguaggi, le mille vie sulle quali è possibile instradare positivamente tutta questa loro energia. Questo e basta. Al resto, poi, al “cosa” fare e al “come” ci penseranno da soli. Ai vecchi spetta il compito di ricordare, ai giovani quello di cambiare.
Maledetti ragazzi! Vorresti prendertela con loro, scaricargli addosso la colpa di tanti guasti della società contemporanea, alleggerire la tua coscienza d'adulto, e invece non c’è niente da fare, ti stupiscono sempre.


Ancora un ringraziamento ai fantastici ragazzi del Liceo Scientifico Innocenzo XII e alla loro insegnate Anna Pozzi.

giovedì 21 ottobre 2010

I TRENI DI FERNANDO




Davanti ai convogli che sfilano lenti, Fernando, con la sua ingenuità fanciulla, si chiede “Come fa la gente. ...Come fanno quelli che non lo conoscono. Chi non è obbligato a dirgli cosa fare o non fare, cosa è giusto e cosa è sbagliato”
“Insomma: cosa fa la gente quando, come lui, ama?
Perché lui ama, ma non sa come si fa ad amare.
Guarda a terra, sorride tra sé, mentre un locale sfila lentissimo fino a fermarsi. Rialza la testa… e davanti alla porta, due ragazzi si baciano appassionatamente.”
Così, ai treni, Fernando scopre l’amore. E cosa importa se agli occhi del mondo lui è solo un povero ritardato e Teresa un trans? Il suo è un amore potente. È un amore che cambia, lui stesso e l’accumulo di abitudini e condizionamenti che lo imprigionano da una vita. Ma i cambiamenti spaventano e rompono fragili equilibri.


mercoledì 20 ottobre 2010

NON PARLATE DI POLITICA, NON CHIAMATELA DEMOCRAZIA!


Non sopporto affermazioni come “la politica fa schifo”!

Cos’è che fa scifo?
- Il comitato affaristico-mafioso che dissangua il Paese?
- Il chiocciare isterico dentro e fuori dai Palazzi del Potere?
- Assistere allo stupro della civiltà e della dignità di una Nazione?

Bene, ma tutto questo non è Politica, anche se chi pratica queste pratiche si dice “Politico”, “Eletto dal Popolo”. Non lo è anche se questi ruba, strilla e violenta in nome del Popolo Sovrano.

Perciò, per carità, non parlate di Politica e non chiamatela Democrazia!

Dai tempi di Tangentopoli il potere ha fatto tantissima strada. Gli indagati, allora, si uccidevano, si convertivano (come Cusani), provavano a discolparsi o a negare, e la gente si esaltava, applaudiva per un avviso di garanzia recapitato al potente di turno. Oggi, quando un uomo di potere e di affari (binomio INSCINDIBILE) è scoperto con le mani nella marmellata, in qualsiasi marmellata (sesso, droga o rock&roll), si limita a fare la faccia innocente e a ricordare: “Così fan tutti”.

Questa non è la Politica e non ha nulla a che fare con la Democrazia.

E’ tutto davanti agli occhi di tutti, non c’è nulla da scoprire, l’unica fatica da fare è quella di ricordare le migliaia di casi che lo confermano. “Pane e Politica”, per dirla alla Riccardo Iacona.
Questa non è Politica e questo Sistema ha smesso da tempo di essere (ammesso che lo sia mai stato) una Democrazia. E’ evidente che siamo tornati al Feudalesimo, al Vassallaggio, e, avanti con il federalismo dell'egoismo, torneremo presto alle Signorie e ai Comuni. Chi amministra il potere è la solita ristretta cerchia di persone, sempre le stesse, sempre più imparentate tra di loro (Bossi, Bossini, La Russa, I Russini, ecc., ecc.).
Non c’è differenza tra chi siede di qua o di là dall’emiciclo dei Palazzi del Potere (guai a parlare di Sinistra o Destra), giocano tutti allo stesso gioco, perfino nella stessa squadra.

Avere schifo di tutto ciò non significa aver schifo della Politica, e il guasto non è colpa di una Democrazia che non c’è.

Al contrario, è necessario tornare ad amare la Politica, rimpossessarsene. Tornare a percepire la Politica come lo strumento per la costruzione del futuro. E’ necessario spogliare l’oligarchia affaristico/mafiosa del titolo di Classe Politica.
Se facciamo un esperimento e sottraiamo la parola “Politica” a posti come Montecitorio, Palazzo Madama, Palazzo Chigi. A cosa ci farebbe pensare tutta quella gente che vi si aggira? Non c'è dubbio, proprio a quel che è: un comitato affaristico/mafioso.

La Politica è un’altra cosa, la Democrazia va conquistata, questi signorotti... scalzati.

martedì 19 ottobre 2010

PIENO DI ME

Vieni cara, odi, una poesia d’amore per la mia micina.

Si chiama:
PIENO DI ME:

“Pieno di me mi scordo del mondo,
pieno di me non ho più freddo,
pieno di me non ho più fame,
non chiedo acqua.
Pieno di me scompare il calendario,
l’orologio,
non rimane più nulla.
Pieno di me non desidero nulla.
Mi annullo in me.”

Piaciuma? …Eh, ahia! Ma, ma perché mi picchi…
NOOOOO CAZZO HA ROTTO IL TASTO DELLA “TI”????!!!!!

venerdì 15 ottobre 2010

GIALLO LATINO


 
La pioggia sferza contro le persiane con cattiveria e i loro corpi la assecondano con movimenti secchi come schiaffi. Amore e passione non gli appartengono. Traspare invece la trama ambigua che alimenta il loro piacere.
I morsi affondano nella carne, eccessivi, e le dita serrate segnano macchie sulla pelle sempre più scure.
I fiati grossi inseguono il crescendo delle spinte di lui. Poi un lampo fissa le loro sagome sulla parete e il fragore del tuono sovrasta le grida concitate dell’orgasmo.
Alla donna schizzano le pupille all’insù, oltre il bianco degli occhi, come in un attacco di epilessia, e la testa le ricade all’indietro. Poi, un rilassamento generale lascia il suo corpo inerme.
Nello stesso istante negli occhi dell’uomo corre un guizzo improvviso e le sue mani si serrano come una morsa sul collo di lei. Senza scampo. Senza lasciare spazio a una reazione.
Ancora gli occhi di lei disegnano un’orbita innaturale bloccandosi definitivamente in un’espressione terrorizzata e interrogativa.
Lui aspetta l’ultimo fremito poi lascia la presa e si alza.
Controlla l’entità dei graffi rimastigli sul corpo. Niente di che. Si riveste, e prima di decidersi a sistemare ogni cosa sente il bisogno di prendere una boccata d’aria.

Apre la porta e un muro d’acqua lo investe.
Continua a piovere ormai da ore, da giorni. Senza interrompersi mai e senza diminuire d’intensità.
L’uomo s’inerpica per la breve rampa che porta all’ingresso della villa, sulla litoranea. Attraversa la strada, completamente deserta. Supera la duna macchiata dalla vegetazione sottomessa al maltempo e davanti ai suoi occhi si apre una mareggiata sconfinata: potente. Biblica.
La striscia lunghissima di sabbia sopporta paziente gli schiaffi delle onde. Onde alte come muri nascono dentro l’orizzonte sfuocato nella pioggia. Una mareggiata che emana la stessa sconfinata potenza che l’uomo ora prova dentro di sé.

Doveva essere l’ultimo appuntamento. Era stato programmato da tempo, e per questo lui aveva avuto tutto il tempo di prepararsi al meglio: la buca già scavata e ricoperta di frasche; i sacchi di nylon comprati in un Iper; e una SIM anonima con la quale ha tenuto gli ultimi contatti con lei.
Perfino quel tempaccio sembrava programmato. In giro, neanche un’anima. Neanche l’ombra degli operai rumeni che d’inverno rifanno il trucco alle case disabitate.

Finito il lavoro, sistemato il cadavere e la casa, l’Audi A6 riparte che è buio pesto. L’uomo rilascia di colpo la frizione, forse per via della stanchezza. Le ruote slittano, ma subito l’elettronica rimedia e l’uomo sorride soddisfatto dell’ultimo acquisto.
*
Alberto è preoccupato e ansioso, e non dà peso all’ansia che trasmette all’amico:
«Certo che devi andare alla polizia! E senza aspettare un minuto di più.»
«Tu sai cosa vuol dire? Basta un niente per montare uno scandalo.»
Anche Mario è preoccupato, e questo lo fa sembrare ancora più vecchio, ma a differenza di Alberto si sforza di ragionare. Prova a valutare la situazione nel suo complesso.
«Mario, non c’è calcolo che tenga! E anche se tutto si risolverà in un capriccio, bisogna fare qualcosa. Lascia stare le conseguenze sulla campagna elettorale, hai un margine altissimo.», poi, in tono greve conclude: «Mario, devi denunciare la scomparsa di Marta. Se non lo fai tu lo farò io!»
*
- Sono contenta che la prendi così. Che mi capisci. Questo è un momento troppo importante per me.
- Mi conosci, no? Lo sai che voglio solo il tuo bene.
- Sì, lo so.
*
«Avvocato! Che ci fa da queste parti?», esclama l’agente all’ingresso.
«Devo parlare con qualcuno di fiducia.»
«Dovrà parlare col nuovo Commissario, avvocato. Come sa dopo gli scandali ora c’è gente nuova. Venga, il Dirigente è un po’ strano ma non è male.»
L’agente bussa, infila la testa nell’ufficio del Commissario e annuncia:
«Dottore, c’è l’avvocato Celoni, – poi aggiunge sottovoce – è quasi Onorevole.»
Il Commissario fa cenno di far passare.

«Commissario Avagliano, la prego si accomodi, avvocato»
Mario Celoni si introduce brevemente e va subito al sodo:
«Commissario, mia moglie non rincasa da due notti.»
Avagliano soppesa il tono delle parole poi domanda:
«Vuole denunciare?»
L’avvocato conferma: «E’ la prima volta che succede!», e aggiunge «Lei sa che tra tre settimane nel nostro Collegio ci sono le suppletive. Beh, io sono il candidato favorito»
«Quasi Onorevole», commenta Avagliano.
«…capisce? In questi casi tutto fa campagna elettorale.»
«So capite», commenta il Commissario nel suo dialetto pescarese scuotendo il capo.
Quindi, prende a informarsi: rapporti nella coppia; abitudini della donna; amicizie; affari, dell’avvocato e della moglie. Tutto.

L’avvocato risponde a fatica – di solito è lui che fa le domande -, ma nonostante questo il Commissario pensa che lì ci sia tanto di quel materiale da indagare fino a fine carriera.
La donna comunque ha sane e precise abitudini e, oltre a lavorare nello Studio del marito, si concede solo palestra e centro benessere. Ma anche in questi limitati spazi l’avvocato ha messo il naso e scoperto che entrambi le strutture appartengono a un certo Fiumani, un tipo con precedenti per truffa e droga, ma che ora pare a posto. E sa di alcuni contatti tra l’uomo e sua moglie.

«Avvocato, - stringe Avagliano - verificheremo i ricoveri ospedalieri e tutte le segnalazioni d’incidenti. Per indagini più approfondite però, Fiumani ad esempio, ci vuole la formalizzazione della scomparsa.», poi, cambiando tono, «Mi dica, ipotizzando che sua moglie abbia deciso di allontanarsi volontariamente, potrebbe alloggiare in qualche vostra proprietà sfitta?»
«Beh, ne abbiamo diverse di proprietà libere: qui a Latina; una casa a Sermoneta che fittiamo l’estate; la villa di Sabaudia… e poi c’è la casa a Cortina…»
«Ok, ok – lo interrompe Avagliano –. Verifichi se le chiavi ci sono tutte e se sono al loro posto. Semmai daremo un’occhiata, almeno a quelle più vicine
*
- Un figlio è tutto quello che ho sempre desiderato dalla vita, lo sai?
- Sì, lo so.
- E tu? Cosa farai ora?
- Io? Beh io…
*
Decisi a fare visita alle proprietà sfitte, l’avvocato e Avagliano siedono sui sedili extralusso della Mercedes.
L’auto sfreccia indifferente alla pioggia che cade copiosa e ai fiumi d’acqua che tagliano i tornanti che s’inerpicano per i Lepini.
«A lu mare ha ditte!»
«Come dice, Commissario?»
«Il mio Superiore, mi aveva detto: “Ti mando al mare”. E lu mare ecche sta sopre e sotte.»
«Aaah…»

Il tour per le case vicine, che l’avvocato è riuscito a ricordare di possedere, si rivela un buco in un mare d’acqua, ma con almeno un paio di aspetti decisamente positivi.
Il primo è stato il pranzo che Celoni ha voluto offrire ad Avagliano – offertogli a sua volta da un ossequioso ristoratore –. Un pasto eccezionale, in perfetto equilibrio tra il mare e la montagna. Annaffiato da un sorprendente moscato del Circeo.
Il secondo aspetto: i panorami carichi di sfumature di colore che si insinuano nell’animo del Commissario, commosso dal cibo e dal vino, e che gli strapazzano le viscere.
*
- Marta, vediamoci un’ultima volta. Per dirci addio. Poi tu e il tuo bambino ve ne tornerete da lui ed io sparirò per sempre dalla tua vita.
- D’accordo. Un’ultima volta.
*
«Allora Mario, chi è questo?» Alberto sgrida l’amico come un bambino. «Il fatto che ti abbia accompagnato in gita, pranzo incluso, non è un’indagine! E intanto di Marta nessuna traccia!»
Mario tiene lo sguardo basso.
«Può essere successo di tutto! – prosegue Alberto – Un incidente, ci sono frane, alluvioni ovunque! E poi quel Fiumani! Sai bene chi è, e sai anche che si vede con Marta.»
«Te l’ho detto, per lui occorre la denuncia.»
«E allora rivolgiamoci ai nostri amici
«No! Non voglio mettere in mezzo quella gente. Dentro loro, io non avrò più nessun potere. E poi questo… Avagliano, è uno discreto. Dobbiamo stare calmi, Alberto.»
«Non ci riesco. Non sopporto l’idea di non poter fare nulla per riportare a casa Marta.»
«Alberto, - fa Mario greve - mi convinco ogni istante di più che Marta se ne è andata di sua volontà. E’ questo forse che temo di scoprire.»
Li interrompe il telefono.
«Pronto?»
«Avvocato, Avagliano. Ho da darle una terribile notizia»
*
«L’ha trovata un Forestale, durante un’ispezione.»
Una pioggerellina fina penetra il tetto di vegetazione e cade dritta sulle loro teste. Avagliano, Celoni e un paio di agenti, osservano attoniti la scena.
La fossa dove il cadavere di Marta era stato sotterrato è stata completamente scavata dai cinghiali. Il sacco di nylon nero, strappato in più punti, scopre parti del corpo nudo. Un pallore assoluto contrasta col fango che lo insozza.
La cosa più impressionante però è il volto di Marta, con gli occhi sgranati di terrore e di incredulità.
«E’ assurdo! – esclama l’avvocato sconvolto – chi può aver fatto una cosa del genere? Chi ha potuto farle questo?», e d’istinto si appoggia ad Avagliano che è costretto a offrirgli il suo supporto.
Attorno a loro cala un silenzio irreale. Si sente solo il suono della pioggia che carezza il pelo immobile dell’acqua del lago.
D’un tratto il fragore di un motore infrange il silenzio e un istante dopo Alberto irrompe a valanga:
«Mario! Marta!»
Alberto si getta nella fossa e s’inginocchia sul corpo della donna. Avagliano con uno scatto improvviso lo afferra per la collottola e lo ricaccia fuori. Poi, furibondo, lo aggredisce:
«Ma chi cazze si’ tu?»
«Ma chi è lei?» gli si rivolta questi sostenendo l’occhiata astiosa.

Nel giro di pochi minuti la solitudine mistica del luogo leggendario è spazzata via dall’operare frenetico degli investigatori. E il buio, precoce, violentato dalle fotoelettriche e dai bagliori blu dei lampeggianti.
L’avvocato non dice una parola ormai da parecchio. Si è rintanato dentro la villa ed ha perfino smesso di pensare alle elezioni.
Alberto, invece, fa la spola tra il bosco e la casa. S’intrufola tra gli agenti della scientifica ostacolandone il lavoro, toccando tutto, poi torna dall’amico per cercare di consolarlo con frasi inascoltate e banali.

«Allora?», domanda Avagliano al Capo degli uomini della Scientifica.
«Di sicuro è stata strangolata, ma il resto è tutto da capire.»
Il Commissario non si aspetta di più. Si aggira nervoso, e qualcosa lo infastidisce nel colletto della camicia. Non sa cosa fare. Non ha senso interrogare l’avvocato ora. Così, un po’ per ingannare il tempo, un po’ per una sincera antipatia, decide di interrogare quel tale Alberto.
Si chiudono in cucina:
«Signor Mardegan, le dispiace ripetermi in che rapporti è con la famiglia Celoni?»
«Sono suo socio»
«Unico socio?»
«Sì, ma con quota simbolica direi. Principalmente, però, mi ritengo amico di famiglia. Per Mario quasi un figlio ed ero molto affezionato a Marta.»
«E in merito al delitto?»
«Non so …o meglio, preferirei non sapere.»
«Sospetta qualcosa?»
«Marta era molto più giovane di Mario. Lui sempre impegnato, ora anche con la candidatura – fa una pausa – Fatico addirittura a pensarlo… sì, insomma, lei lavorava allo Studio tutto il giorno, eccetto…»
«Eccetto la palestra e il centro benessere del Fiumani»
«Esattamente.»
«Quindi sospetta...»
Avagliano non riesce a concentrarsi, si tocca continuamente il collo, poi all’improvviso domanda:
«Mi scusi, ci sono delle forbici?»
«Sì», Alberto apre un cassetto prende le forbici e le dà al Commissario, il quale si allenta il colletto della camicia, taglia di netto l’etichetta ed è subito più tranquillo.

Nel frattempo, fuori, i rilevamenti sono terminati e il cadavere rimosso. Ad Avagliano, quindi, non rimane che andarsene. Alberto, invece, sembra non volerne sapere, segue tutto e scorta il Commissario alla sua auto.
Appena questi avvia il motore e imposta la sterzata per risalire il vialetto, Alberto fa un cenno con la mano. Avagliano non capisce.
«Allarghi la curva, altrimenti slitta e resta lì.», spiega Alberto.
Avagliano lo guarda perplesso.
*
- Certo chi l’avrebbe detto!
- e sì, dopo tanti anni chi ci credeva più! Per prima io… questo sconforto mi ha spinto verso di te. Solo adesso me ne rendo conto.
 - Così mi ferisci.
- Ma è la verità.
*
Man mano che arrivano i riscontri il quadro si fa più chiaro, ma solo a sera Avagliano ha elaborato una strategia.
Esce ed è già buio. Decide di andare a piedi e chiede di essere raggiunto da una pattuglia di lì a una mezz’ora.
La pioggia s’è fatta fina come la nebbia, e come la nebbia penetrante e fredda.
Avagliano percorre un tratto di Corso della Repubblica, all’altezza di Piazza San Marco prende per Via Gramsci e in pochi minuti è nel lussuoso Studio dell’avvocato Celoni.
La segretaria lo accompagna dall’avvocato e dopo pochi secondi arriva anche Alberto.
«Ah, Commissario!», esclama questi fingendo stupore.
Avagliano lo fulmina con uno sguardo, poi rivolto all’avvocato:
«Le dispiace? Avrei bisogno di parlare da solo con lei.»
Alberto esce sbattendo la porta.
«Andavate spesso alla villa di Sabaudia?»
«Soltanto l’estate.»
«E il suo socio? »
«Lui poi! Al massimo ci sarà venuto un paio di volte. D’estate è sempre in barca. Ma mi scusi, che c’entra questo?»
«Curiosità. Mi dica, invece, la disgrazia ha cambiato i suoi progetti?»
«La candidatura?», Avagliano annuisce, «No. Vede Commissario, spesso ci sono cose più grandi di noi. Perciò, io sarò eletto come previsto e lo Studio sarà affidato ad Alberto.»
«Al suo socio? Capisco… Lei sapeva che Marta era incinta?»
Celoni sgrana gli occhi e il fiato gli rimane incastrato in gola che quasi soffoca. Poi, prova a rispondere:
«Ma cosa dice, Commissario? Io e mia moglie ormai c’eravamo rassegnati a non avere…»
«Avvocato, può chiamare il suo socio?»
Celoni, frastornato, fa chiamare Alberto che li raggiunge poco dopo. Avagliano domanda:
«Signor Mardegan, può spiegare al suo amico perché ha ucciso Marta?»
«Ma cosa diavolo dice!» fanno all’unisono i due a un passo dall’aggredire il poliziotto.
«Signori! - li blocca Avagliano - Io posso garantire, e a breve anche dimostrare, che Mardegan è stato nella villa di Sabaudia insieme a Marta, che i due hanno fatto l’amore e che poi lui l’ha uccisa. Quello invece che non posso dire è perché l’ha fatto.»
Il volto di Alberto è teso e livido, mentre quello dell’avvocato inondato da una rabbia cieca.
«Convincimi Alberto! Convincimi che questo signore è un pazzo e si sta inventando tutto. Convincimi, perché se non ci riesci per te al mondo non esiterà posto sicuro. E non manderò sicari a cavarti gli occhi. Lo farò io, con le mie mani!»
«Mario, non crederai mica…»
«Signor Mardegan, - insiste Avagliano - avere le prove sarà un gioco da ragazzi.»
«Bastardo!» Mario afferra Alberto per il collo. «Bastardo! L’hai messa incinta e poi l’hai ammazzata!», gli urla stringendo deciso.
Alberto si dimena, cerca di liberarsi. Guarda implorante Avagliano che non muove un dito. Infine, a fatica, riesce a biascicare:
«Fermati, ti prego!»
Mario ha un’esitazione, Alberto respira, tossisce, recupera la voce:
«Sì! Sono stato io.»
«Non hai accettato tuo figlio, vero?»
«No, quel il figlio era tuo. Marta ne era certa», Mario ha un tonfo al cuore e sente la testa esplodergli «...e per questo aveva deciso di lasciarmi.», conclude Alberto.
Mario si libera di lui come d’un cencio:
«Come hai potuto fare una cosa così atroce? Come hai potuto portarmi via mia moglie e mio figlio, Come?! Figlio di puttana!»
«Perdonami ti prego. Non ce l’ho fatta. Non sopportavo che Marta mi lasciasse.»
«Che cazzo dici!», ruggisce Mario.
Avagliano, che ha appena chiuso il telefono, lancia ad Alberto un’occhiata disgustata e domanda:
«Mi dica, Mardegan, cosa pensava la signora del fatto che a breve lo Studio sarebbe passato nelle sue mani? Che lei sarebbe diventato il suo Capo mentre suo marito, con ogni probabilità, sempre più lontano? Come si conciliava tutto questo con la volontà di Marta di lasciarla?»
«E’ per questo, allora! Marta non voleva che tu prendessi lo Studio!»
«E ancora, - prosegue Avagliano - cosa sarebbe stato del suo rapporto paterno con l’avvocato ora che un figlio lo avrebbe avuto davvero?»
L’irruzione degli agenti blocca sul nascere la reazione di Mario ed Alberto viene portato via.
*
Avagliano preferisce camminare, annusare quei posti che, pian piano, lo stanno conquistando, alla ricerca dell’umore della pioggia.


giovedì 14 ottobre 2010

INSEGNAMO L'ECONOMIA AI BAMBINI




Da almeno venti anni bambini e ragazzi sono diventati i veri protagonisti dell’economia. Non servono dati certificati (tanto tra qualche tempo ci penserà il solito studio di questa o di quella università inglese o americana a farlo) per poter affermare che la maggior parte del denaro che è nella disponibilità di una famiglia media (al netto di mutui e spese fisse) è movimentata, direttamente o indirettamente, da bambini e ragazzi.
Dai minori, insomma. E per minori si intende la fascia che va dai 0 ai 18 anni (oltre i 18 il danno diventa irreversibile).
Da 0 anni, ovviamente, o anche da sottozero, da quando, cioè, la bella coppia di turno scopre di essere in dolce attesa. Sì, perché ancora prima di venire alla luce, il giovane “consumatore” già smuovere l’economia. Determina spese che incidono significativamente sul bilancio familiare. Inizia allora e non smette più, divenendo di giorno in giorno più determinato e autonomo nell’indirizzare le spese da una parte o dall’altra: tale (video)gioco; tale marca di scarpe; tale “terminale” (impossibile continuare a parlare soltanto di telefonino); e quant’altro.
Altrettanto ovvio e scontato, quindi, che da anni preparatissimi e fini pubblicitari si rivolgano a costoro per cercare di conquistarne l’interesse per i propri prodotti e, soprattutto, intercettarne il denaro potenzialmente nella loro disponibilità. Anche quando il prodotto sembra lontano mille miglia dalla loro sfera dall’interesse (penso alla miriade di pubblicità di automobili con protagonisti, o che si rivolgono direttamente, ai nostri piccolo cuccioli – Papà ha quella macchina perciò papà è “così”, la nostra famiglia è “così”, come nella pubblicità).
Ma tutto quanto fin qui affermato è assolutamente noto. Nulla di nuovo, giusto? E allora, perché questo gruppo?
Be’ perché se tutti siamo coscienti e convinti che sono i ragazzi a pilotare le nostre tasche, le tasche delle famiglie, non tutti sembriamo sufficientemente convinti sulla necessità di dare loro gli strumenti opportuni per gestire “consapevolmente” le loro… cioè, le nostre tasche.
Diciamocela tutta fino in fondo, se ci troviamo in quanto scritto sopra significa che non siamo poi così bravi a gestire il denaro neanche noi. Se mettiamo in mano ad un bambino ingenuo ed inesperto cifre tanto significative (no, non fate le smorfie, contate le consolle di videogiochi che avete in casa, sommate i loro costi e poi…), se gli diamo un così grande potere, vuol dire che neanche noi siamo dei geni della finanza. Non è vero?
Ok, la cosa più logica da fare, verrebbe da dire, è che noi, i grandi, imparassimo a gestire diversamente i nostri soldi. Ma questa soluzione presenta alcune controindicazioni:
- la prima è che se non l’abbiamo fatto fino ad ora un motivo deve pur esserci;
- la seconda è che “siamo grandi”, appunto, ossia le nostre strutture e sovrastrutture sono un pesante fardello che non ci aiuta a cambiare abitudini consolidate;
- la terza, infine, è che per gestire diversamente il denaro in casa dovremmo cominciare a dire dei “no” ai nostri figli. “No” motivati, faticosi da spiegare, “no” da negoziare. In sostanza dovremmo ricominciare a educare i ragazzi. Cosa che abbiamo smesso di fare (guarda un po’) da circa un ventennio.

E allora quale può essere l’alternativa?
La mia proposta è: mettiamo i minori in condizioni di combattere ad armi pari con l’impero del consumo.
L’impero del consumo aspetta la nascita dei nuovi “clienti” presidiando le sale parto, omaggiando, pasturando, e non li abbandona mai, neanche un istante, neanche al bagno: ricordate una famosa pubblicità di carta igienica con un bimbo sulla tazza?
L’impero del consumo è potente, serio, preparato, istruito. Noi, poveri genitori, no! Noi non abbiamo quasi mai gli strumenti, formativi, informativi, professionali, per fronteggiare l’impero del consumo.
L’unico strumento che più o meno tutti gli adulti dovrebbero avere a disposizione dovrebbe(/potrebbe) essere il “saldo in cassa”, cioè, quanto denaro si ha da spendere. In base a questo strumento un adulto dovrebbe(/potrebbe) valutare la fattibilità o meno di una spesa, invece, a giudicare da certi indebitamenti, neanche questo strumento pare funzioni bene.
Insomma, guai a pensare: “Ok, allora gliela insegno io l’economia al mio bambino”.
No! Ci vuole una formazione potente, seria, professionale, per fronteggiare l’impero del consumo. E va insegnata dal primo giorno di vita. Meglio se fatte ascoltare le lezioni tramite cuffia, direttamente dentro la pancia.
La mia proposta, quindi, è l’istituzione della facoltà di Economia per minori da 0 a 18 anni. “Consumatori alla nascita”.
Il mio invito perciò è rivolto a tutti coloro che, intendendosi di economia e di pedagogia, a vario livello, possa preparare piccole lezioni di economia da sottoporre a bambini e ragazzi compresi nella fascia di età target.
Lezioni scritte da leggere come favole, storielle simpatiche (in funzione dell’età a cui ci si vuole rivolgere), video lezioni caricate su Youtube, audio guide.
Costituiamo l’enciclopedia economica per ragazzi. Sì, ma libera e indipendente!
Diamoci da fare, la parola d’ordine è difendiamoci coi nostri figli, non scudi umani, ma teste di cuoio per fronteggiare l’impero del consumo. Loro ci fottono i nostri miseri stipendi? Almeno…,
FACCIAMOGLIELA SUDARE!!!